Il Piemonte che non ti aspetti (e che non conosci): alla scoperta delle Colline Saluzzesi
Che regione, il Piemonte. Non appena ti illudi di padroneggiarne la geografia enoica quanto basta per poter discettare con disinvoltura di Nebbiolo, Barbera, Freisa, Dolcetto, Cortese e financo di Nascetta e Timorasso, ecco che ti rimette subito al tuo posto, ricordandoti, beffardo, che è ben lungi dall’essersi completamente svelato. Ha sempre in serbo, infatti, nuovi assi nella manica: un territorio inesplorato, un vitigno sconosciuto, un vino meno noto.
Questa volta, la carta segreta cala su quell’angolo di Piemonte occidentale racchiuso tra la Piana di Saluzzo e le pendici del Monviso che risponde al nome enologico di Colline Saluzzesi: è proprio in questi luoghi ancora sconosciuti al turismo di massa che, tra paesaggi mozzafiato e sconfinate colture frutticole (core business locale), resiste un’antichissima viticoltura di nicchia. Se la vocazione vinicola della zona era infatti già nota ai Romani, fu dalla metà del XV secolo che i vini del potente Marchesato di Saluzzo divennero tanto apprezzati da giungere prima in Francia, attraverso il Buco di Viso (il primo traforo alpino della storia), e poi a Roma. Pare infatti che il Papa Giulio II fosse tanto ghiotto del locale Pelaverga da aver concesso a Saluzzo il privilegio della sede vescovile (anche) grazie alle botti che l’astuta Margherita da Foix, succeduta nella reggenza al mari-to Ludovico II, gli omaggiava ogni anno.
Sebbene i fasti del Marchesato appartengano oramai al passato – del quale le imponenti architetture medievali mantengono viva la memoria – la tradizione enologica e la biodiveristà ampelografica se-colare sopravvivono ancora oggi grazie all’opera delle dodici piccole aziende riunite nel Consorzio di Tutela Vini Doc Colline Saluzzesi. Parliamo di vignaioli eroici, che sfidano altitudini, pendenze, dislivelli e climi rigidi; coraggiosi, perché preservano i vitigni autoctoni dall’oblio senza indulgere alle tentazioni omologatrici del mercato; appassionati, perché legando i tralci innevati con le mani arse dal gelo, tradiscono l’amore atavico per un territorio che li vuole eredi del passato e artefici del futuro. Ma, soprattutto, bravi, perché in degustazione, sotto l’egida della Doc Colline Saluzzesi (unica in Italia a non annoverare bianchi), ritroviamo nel bicchiere vini eterogenei e molto identitari ma sempre accomunati da quella armonica ricchezza olfattiva tipica del terroir pedemontano.
Scopriamo quindi da vicino le sette specificazioni in cui si articola la Doc “Colline Saluzzesi” (Pelaverga rosso; Pelaverga rosato; Chatus; Quagliano; Quagliano Spumante; Rosso, Barbera), seguite dall’indicazione dei vini che ci hanno sorpreso in degustazione.